Ordinanza n. 78 del 1991

 

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ORDINANZA N. 78

ANNO 1991

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Prof. Giovanni CONSO                                              Presidente

Prof. Ettore GALLO                                                   Giudice

Dott. Aldo CORASANITI                                              “

Prof. Giuseppe BORZELLINO                                       “

Dott. Francesco GRECO                                                 “

Prof. Gabriele PESCATORE                                           “

Avv. Ugo SPAGNOLI                                                    “

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA                               “

Prof. Antonio BALDASSARRE                                     “

Prof. Vincenzo CAIANIELLO                                       “

Avv. Mauro FERRI                                                         “

Prof. Luigi MENGONI                                                    “

Prof. Enzo CHELI                                                           “

Dott. Renato GRANATA                                                “

ha pronunciato la seguente

 

ORDINANZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 12, comma ter, della legge 13 maggio 1988, n. 154 (recte: dell'art.12, comma 3-ter, del decreto-legge 14 marzo 1988, n. 70, recante "Norme in materia tributaria nonché per la semplificazione delle procedure di accatastamento degli immobili urbani", convertito, con modificazioni, nella legge 13 maggio 1988, n. 154), promosso con ordinanza emessa il 15 marzo 1989 dalla Commissione tributaria di primo grado di Milano nei ricorsi riuniti proposti da Nicita Antonio ed altro, iscritta al n. 500 del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 33, prima serie speciale, dell'anno 1990;

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

Udito nella camera di consiglio del 28 novembre 1990 il Giudice relatore Vincenzo Caianiello;

Ritenuto che, nel corso di un giudizio tributario, concernente due ricorsi riuniti ed aventi ad oggetto, il primo, il silenzio tenuto dall'Ufficio successioni su una istanza volta ad ottenere, rispetto all'imposta già liquidata sulla base della dichiarazione presentata dai coeredi ricorrenti, la riduzione del 30 per cento del valore imponibile in applicazione dell'art. 11 della legge 17 dicembre 1986, n. 880, e, il secondo, il rigetto di altra istanza diretta all'applicazione del c.d. criterio catastale previsto dalla sopravvenuta legge 13 maggio 1988, n. 154, la Commissione tributaria di primo grado di Milano ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 12, comma 3-ter, della legge da ultimo citata (recte: dell'art. 12, comma 3-ter, del decreto-legge 14 marzo 1988 n. 70, convertito, con modificazioni, nella legge 13 maggio 1988 n. 154);

che, ad avviso del giudice rimettente, la norma impugnata - disponendo, in materia di valutazione dei cespiti immobiliari caduti in successione, l'applicazione retroattiva del "nuovo criterio così detto automatico" del reddito catastale anche alle successioni apertesi anteriormente al 1° luglio 1986, ma solo a quelle "per le quali non sia intervenuto il definitivo accertamento del valore imponibile" - avrebbe avuto di mira la pluralità dei casi in cui il contribuente non adempie all'obbligo di dichiarare il valore venale e costringe l'ufficio all'accertamento del maggior valore;

che non sarebbe stata, invece, considerata l'ipotesi dei contribuenti onesti che, avendo dichiarato valori congrui non soggetti ad accertamenti dell'ufficio, hanno tuttavia proposto ricorso per la rettifica di quei valori, invocando l'applicazione di norme sopravvenute, e si troverebbero quindi anch'essi nella situazione di "pendenza" di una lite tributaria;

che il giudice a quo ha all'uopo richiamato, come tertium comparationis, l'art. 79 del testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta di registro, approvato con d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, che subordina l'applicazione del predetto criterio automatico agli atti, scritture private e denunce anteriori al 1° luglio 1986, in relazione ai quali, alla data di entrata in vigore del testo unico, sia pendente una controversia o "non sia ancora decorso il termine di decadenza dell'azione della finanza", ed ha rilevato che, diversamente, la norma impugnata in tema di imposte di successione contempla soltanto il caso in cui vi sia stato accertamento di maggior valore da parte dell'ufficio e sia pendente ricorso avverso di questo, così determinando una ingiustificata disparità di trattamento tra contribuenti;

che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, sostenendo che i "ricorsi (a quibus) dovrebbero semplicemente essere dichiarati inammissibili" perché, "in tema di imposte relative alle successioni... i ricorsi possono essere proposti avverso l'avviso di maggior valore ed avverso l'avviso di liquidazione dei tributi (art. 16 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, come corretto con d.P.R. 28 novembre 1980, n. 787)", mentre i ricorsi predetti si concreterebbero in istanze extra ordinem;

che, inoltre, l'ordinanza di rimessione non motiverebbe affatto in punto di rilevanza della questione prospettata, laddove, secondo la giurisprudenza della Corte, "una questione deve ritenersi rilevante quando la sua soluzione è realmente necessaria per la decisione"; che, sempre ad avviso della difesa erariale, la questione sarebbe altresì palesemente non fondata perché non sarebbe, nella specie, pendente nessuna controversia di valutazione, non essendovi stata alcuna rettifica della dichiarazione e quindi nessun avviso di maggior valore da parte dell'ufficio;

che, perciò, mancherebbero tutti i presupposti perché possa ritenersi violato il principio di eguaglianza, non essendo, in particolare, comparabile la situazione "dei contribuenti raggiunti da avviso di maggior valore rispetto a quella dei contribuenti che detto avviso non hanno ricevuto".

Considerato che l'eccezione di inammissibilità per mancata motivazione sul punto della rilevanza va disattesa, perché, dallo svolgimento dell'ordinanza, è possibile ricostruire l'iter argomentativo che consente di ritenere soddisfatto l'obbligo della motivazione relativamente alla necessaria pregiudizialità della questione rispetto alla decisione da adottare;

che, quanto agli altri aspetti posti in evidenza dalla difesa erariale, sempre in ordine all'ammissibilità della questione, circa la sorte ed il thema decidendum dei giudizi a quibus e circa l'insussistenza di una controversia pendente, trattasi di profili che non possono essere presi in considerazione in questa sede, appartenendo al giudizio di competenza del collegio rimettente;

che, nel merito, la questione, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, sotto il profilo dell'eguaglianza sostanziale in materia tributaria, non è fondata, in quanto non sussiste la lamentata disparità di trattamento fra la situazione di coloro nei cui confronti non si è proceduto, al momento dell'entrata in vigore della legge, ad alcuna contestazione sulla valutazione dei cespiti ereditari e la situazione di coloro nei cui confronti l'accertamento di valore non è divenuto ancora definitivo;

che, difatti, questa evenienza fa reputare non irragionevole che il legislatore, nel prendere in considerazione le situazioni pregresse, abbia ritenuto applicabile la norma solo a quelle per le quali la valutazione dei cespiti sia ancora in via di definizione;

che, d'altronde, come risulta anche dalla discussione parlamentare della legge, la norma impugnata non introduce un nuovo criterio di determinazione dei valori imponibili, ma limita il potere di rettifica degli uffici finanziari, nel caso in cui questi non ritengano congruo il valore dei beni dichiarati, impedendo loro di procedere ad una maggiore valutazione dei cespiti quando il relativo valore sia dichiarato in misura non inferiore all'ammontare determinato in modo automatico (reddito catastale aggiornato, moltiplicato per il coefficiente 60 o 80, rispettivamente, per i terreni e per i fabbricati);

che, pertanto, la questione è manifestamente infondata.

 

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

Dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 12, comma 3-ter, del decreto-legge 14 marzo 1988, n. 70 (Norme in materia tributaria nonché per la semplificazione delle procedure di accatastamento degli immobili urbani), convertito, con modificazioni, nella legge 13 maggio 1988, n. 154, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, dalla Commissione tributaria di primo grado di Milano, con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 28 gennaio 1991.

 

Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI - Renato GRANATA.

 

 

Depositata in cancelleria l'11 febbraio 1991.